Con la sentenza n. 279/2022, il Tribunale di Venezia ha riconosciuto in capo all’ex moglie - che, durante il matrimonio, ha sacrificato le sue prospettive di crescita professionale per far fronte alle esigenze organizzative dell’intero nucleo familiare - il diritto a percepire l’assegno divorzile anche se, in sede di separazione, la stessa si era impegnata a cercare un’occupazione, poi non trovata.
Con la sentenza n. 279/2022, il Tribunale di Venezia ha riconosciuto in capo all’ex moglie - che, durante il matrimonio, ha sacrificato le sue prospettive di crescita professionale per far fronte alle esigenze organizzative dell’intero nucleo familiare - il diritto a percepire l’assegno divorzile anche se, in sede di separazione, la stessa si era impegnata a cercare un’occupazione, poi non trovata.
La vicenda che ha portato alla pronuncia in esame può essere così riassunta.
Tizio, sportivo di fama nazionale, ha sempre potuto coltivare - anche grazie al sostegno e al contributo nella gestione familiare dato dalla moglie, Caia - la sua carriera professionale, giungendo ad ottenere importanti premi e riconoscimenti.
Tuttavia, come spesso accade, venuto meno l’affetto e la volontà reciproca di stare insieme, i due coniugi avevano deciso di separarsi.
In quella sede, il Tribunale sull’accordo delle parti aveva riconosciuto a Caia il diritto all’assegno di mantenimento, in virtù del fatto che la stessa, durante il matrimonio, si era sempre occupata della casa e dei figli, per realizzare il progetto di vita comune così come concordato con Tizio.
Il tribunale, in particolare, aveva fissato in euro 600,00 l’ammontare dell’assegno di mantenimento, non in proporzione alle capacità reddituali e patrimoniali di Tizio (diversamente, l’assegno sarebbe stato molto più cospicuo), ma soprattutto in considerazione del fatto che Caia si era espressamente impegnata a reperire una idonea attività lavorativa entro due anni dalla separazione, integrando così il modesto assegno.
Caia però all’epoca era già quasi cinquantenne e non aveva alcun tipo di competenze professionali pregresse.
E in effetti, decorsi due anni dalla separazione, Caia non era riuscita a trovare una collocazione se non con lavoretti stagionali che le avevano procurato un reddito da lavoro - assai modesto - di circa € 3-4 mila euro all’anno.
Dopo qualche anno Tizio chiedeva il divorzio e tacciava l’ex moglie di “inerzia colposa” (insomma, Caia non sarebbe riuscita a trovare un impiego solo perché non si sarebbe sufficientemente impegnata nelle ricerche) e, a ragione di ciò, chiedeva al Tribunale di Venezia di non essere obbligato a corrispondere l’assegno divorzile in favore dell’ex moglie.
Il Tribunale, fatte le opportune valutazioni e ripercorrendo l’evoluzione giurisprudenziale in ordine all’assegno divorzile, ha osservato “come il mero divario reddituale più non basti a giustificare il riconoscimento dell’assegno divorzile, dovendosi invece valutare se il soggetto istante abbia, o no, mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive e se l’eventuale squilibrio reddituale/patrimoniale trovi la sua causa in scelte della coppia in attuazione del progetto di vita comune”.
In altre parole, non è sufficiente che un coniuge sia “economicamente più forte” dell’altro perché sia posto a suo carico l’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile: è invece necessario indagare i motivi che hanno condotto alla eventuale disparità reddituale/patrimoniale, potendo gli stessi trovare la loro ragion d’essere nelle scelte di vita familiare adottate, di comune accordo, dai coniugi.
Il concetto era stato già ampiamente sviluppato dalle Sezioni Unite della Cassazione, nella nota sentenza n. 18287/2018 proprio nei termini richiamati dal Tribunale di Venezia: “Posto che l’assegno divorzile svolge una funzione non solo assistenziale, ma in pari misura anche perequativa e compensativa, continuando ad operare i principi di uguaglianza e di solidarietà di cui agli artt. 2 e 29 Cost., e che il diritto al riguardo del richiedente va accertato unitariamente, senza una rigida contrapposizione tra la fase attributiva (an debeatur) e quella determinativa (quantum debeatur), il giudice:
Insomma, il giudice deve valutare:
Se il Tribunale accerta che la disparità di reddito tra le parti non è oggettivamente superabile ed effettivamente è dovuta alle scelte di vita fatte dai coniugi durante il matrimonio, allora è possibile riconoscere l’assegno divorzile.
A questo punto, l’ammontare dell’assegno divorzile, contrariamente al passato, non può più essere parametrato al tenore di vita goduto – durante il matrimonio - dal coniuge richiedente l’assegno divorzile.
Fino al 2018, infatti, se il coniuge destinatario dell’assegno divorzile aveva potuto beneficiare, durante la relazione coniugale, di lunghi viaggi all’estero - a spese dell’altro coniuge - e di regali costosi quali, ad esempio, gioielli e macchine, aveva diritto alla corresponsione di un lauto assegno divorzile che gli consentisse di godere dello stesso, pregresso tenore di vita.
Ora invece l’assegno divorzile deve essere parametrato al contributo dato dal coniuge richiedente non solo nella gestione familiare, ma anche nell’eventuale “arricchimento” dell’altro coniuge, che potrebbe aver visto un incremento delle proprie sostanze patrimoniali e della propria capacità professionale proprio a fronte di una collaborazione, costante e continuativa, dell’altro coniuge.
Il Tribunale di Venezia “rileva altresì che, secondo l’ottica interpretativa adottata dalla Suprema Corte, accanto alla funzione assistenziale dell’assegno divorzile, basata sulla rilevazione delle condizioni economiche e patrimoniali delle parti, deve darsi preminenza alla funzione compensativa-perequativa, posto che la valutazione dell’adeguatezza dei mezzi deve essere effettuata in modo sistemico e non per fasi distinte, tenendo conto in particolare se tale disparità nella condizione dei coniugi sia ricollegabile ai ruoli assunti dai coniugi in costanza di matrimonio”.
E, ancora, “tale criterio ermeneutico traspare, in tutta la sua pregnanza, laddove la condizione economica deteriore è assunta non come dato oggettivo, bensì in relazione al contesto endofamiliare che ha contribuito a determinarla [..] Sotto questo specifico profilo, il fattore età del richiedente è di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità di un adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro. Benché non esplicitato dalla Suprema corte, appare al collegio di tutta evidenza che ai fini dell’indagine possono rilevare non solo i sacrifici professionali, poiché un individuo può non avere avuto alcuna aspettativa di lavoro esterno sacrificando la propria carriera e purtuttavia essersi occupato della educazione dei figli e delle faccende domestiche. Il contributo così dato, formando la prole e divenendo il manager della famiglia e della casa, costituisce attuazione della libertà di scelta e di autoresponsabilità in ordine ai ruoli ed ai compiti che ciascuno dei coniugi assume nella vita familiare, che trovano tutela negli art. 2, 3 e 29 della Costituzione cui le Sezioni unite hanno fatto riferimento nella motivazione.”
Nel caso in esame, dall’indagine compiuta dal Tribunale sulla base delle dichiarazioni dei redditi presentati da Tizio e Caia, il divario è “tale da poter innescare una valutazione in termini di inadeguatezza dei mezzi della richiedente, o comunque, di impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive”.
Inoltre, la fase istruttoria ha portato alla luce ulteriori elementi che si sono rivelati utili alla difesa di Caia e al riconoscimento a suo favore dell’assegno divorzile.
Infatti - dalle testimonianze – sono emerse circostanze tali da giustificare la pronuncia di una sentenza di divorzio che sancisse l’obbligo, in capo a Tizio, di versare l’assegno divorzile in favore di Caia.
Tanto i familiari di Tizio quanto quelli di Caia sentiti dal giudice avevano in effetti confermato che Caia aveva dovuto presto archiviare le proprie aspirazioni a svolgere un lavoro extradomestico perché non riceveva alcun aiuto nell’accudire i figli da parte del marito, troppo impegnato tra lavoro e sport agonistico.
“Non v’è dubbio che l’attuale condizione di sperequazione reddituale si ricolleghi causalmente alla scelta effettuata dai coniugi nell’ambito di un progetto di vita in comune. Nella prospettiva enunciata dalle Sezioni unite non rileva il solo sacrificio delle prospettive di carriera, che in ogni caso vi è stato, quanto il legame tra la condizione di sperequazione e le scelte effettuate dalla coppia. A questo dato deve aggiungersi la lunga durata del matrimonio (quasi 21 anni) e l’apporto dato da Caia alla formazione del patrimonio di Tizio mediante il fondamentale compito di cura della famiglia e della casa, permettendo all’ex marito non solo di svolgere la sua attività professionale, ma anche di dedicarsi allo sport con tutti gli onori documentati dalla pubblicistica in atti”.
Insomma, il contributo dato da Caia alla crescita professionale e all’incremento delle capacità economiche di Tizio è stato giudicato, dal Tribunale di Venezia, un fattore essenziale, che ha fatto pendere l’ago della bilancia a favore dell’ex moglie.
Piena dignità quindi al lavoro silenziosamente svolto dentro le mura domestiche tanto da meritarsi l’appellativo di manager della famiglia, in quanto tale avente pieno diritto all’assegno divorzile: un’ulteriore pronuncia che, riconoscendo la necessità di compensare i sacrifici fatti da uno dei due coniugi durante il matrimonio, accentua la funzione “perequativa”, “pareggiatrice di conti”, dell’assegno divorzile.
dottoressa Elisa Buso
avvocato Paola Dalla Valle
avvocato familiarista in Venezia
dallavalle@legalivenezia.it
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