Fine vita Cappato: una decisione innovativa (caso DJ Fabo). La Corte Costituzionale si è espressa con sentenza resa in udienza pubblica del 24 settembre 2019 “assolvendo” Marco Cappato. L’art. 580 codice penale recita “Istigazione o aiuto al suicidio. Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima [c.p. 29, 32, 50, 583]. Le pene sono aumentate [c.p. 64] se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d'intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio [c.p.p. 575, 576, 577]”. Le aggravanti previste richiamando l’art. 589 cod. pen. riguardano persone minori degli anni diciotto, oppure inferme di mente, o che si trovino in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti. Come noto, a rigore l’applicazione formalistica della norma avrebbe portato alla condanna di Marco Cappato, che effettivamente aveva ammesso di aver agevolato l’esecuzione della fine vita di Fabiano Antoniani, nome d'arte Dj Fabo.
L’art. 580 codice penale recita “Istigazione o aiuto al suicidio. Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima [c.p. 29, 32, 50, 583].
Le pene sono aumentate [c.p. 64] se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d'intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio [c.p.p. 575, 576, 577]”.
Le aggravanti previste richiamando l’art. 589 cod. pen. riguardano persone minori degli anni diciotto, oppure inferme di mente, o che si trovino in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti.
Come noto, a rigore l’applicazione formalistica della norma avrebbe portato alla condanna di Marco Cappato, che effettivamente aveva ammesso di aver agevolato l’esecuzione della fine vita di Fabiano Antoniani, nome d'arte Dj Fabo.
La Corte d’Assise di Milano, tuttavia, con ordinanza di rimessione del 14 febbraio 2018 aveva sospeso il processo nei confronti dell’imputato Cappato e sollevato questione di costituzionalità del precetto dell’art. 580 cod. pen. “«nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio», per ritenuto contrasto con gli artt. 2, 13, primo comma, e 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 2 e 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;
La Corte Costituzionale si era già espressa con un’ordinanza interlocutoria il 16 novembre 2018[1], sostanzialmente invitando il Parlamento a colmare il vuoto legislativo, che separava la norma dal diritto vivente.
Il 25 settembre 2019 dal comunicato stampa che ha anticipato il contenuto della decisione finale – che nella parte motiva si conoscerà a breve – ha riferito che “la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
In attesa di un indispensabile intervento del legislatore, la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente”.
Da quanto emerge – ma si leggerà più diffusamente appena la Corte renderà disponibile integralmente la propria decisione – parrebbero accolte le richieste della difesa di Cappato, che si leggono nelle note d’udienza 23 ottobre 2018 dell’avv. prof. Vittorio Manes, il quale aveva lucidamente, come sua precisa consolidata traiettoria, sottolineato che “una interpretazione adeguatrice dovrebbe limitare la punibilità alle ipotesi di agevolazione che abbia avuto un contenuto concretamente istigatorio, e che dunque abbia inciso sulla determinazione o sul rafforzamento del proposito suicidiario - con esclusione dunque di una agevolazione meramente materiale ed esecutiva intervenuta a proposito suicidiario già maturo -, garantendo aiuto nel morire ad un soggetto che avrebbe il diritto di rifiutare le cure quoad vitam (alla stregua della sentenza n. 65 del 1970 in tema di apologia di reato), con una chiara revisione teleologica della disposizione in punto di offensività 28 (così adottando, in sostanza, proprio quell’interpretazione rigettata dalla Cassazione, sez. I, 6 febbraio-12 marzo 1998, n. 3147, rel. Vancheri, in un caso tuttavia chiaramente diverso da quello di cui oggi si discute); o, comunque, di agevolazione connotata da efficienza causale immediata e diretta (e dunque non integrabile da una attività meramente idonea ex ante), con esclusione dall’area di tipicità di quei contributi neutri e comunque non immediatamente causativi, il cui effetto è comunque neutralizzato nel caso in cui – come appunto nella vicenda in esame - l’ultimo e decisivo atto è realizzato dal “suicida”[2].
Il suicidio di Dj Fabo, quindi, è meramente un atto volontario posto in essere dal deceduto, che era evidentemente un “paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”, fine vita agevolato da terzi (Marco Cappato), le cui condotte sono da considerarsi, pertanto, ora al di fuori della sfera dei fatti penalmente rilevanti.
www.ticosoci.it
[1] Corte cost., ord. 24 ottobre 2018 (dep. 16 novembre 2018), n. 207, Pres. Lattanzi, Red. Modugno
[2] Per un approfondimento si suggerisce la lettura integrale delle note d’udienza citate: https://www.associazionelucacoscioni.it/wp-content/uploads/2018/11/Corte-costituzionale-%E2%80%93-note-di-udienza-del-23-ottobre-2018-Prof.-Avv.-V.-Manes.pdf